Tutti pazzi per l’Open Data. Almeno a parole.
Sono sempre più coloro che, anche in Italia, concordano sull’esigenza di dare concreta attuazione al principio secondo il quale i dati prodotti dalle istituzioni pubbliche nell’espletamento delle loro funzioni appartengono alla collettività e, quindi, devono essere resi disponibili e riutilizzabili.
“Open Data” è espressione ormai ricorrente anche in atti ufficiali e in dichiarazioni istituzionali, come strumento per rendere l’amministrazione italiana più trasparente, stimolare la partecipazione dei cittadini e provare a dare impulso – anche nel Bel Paese – all’economia dell’immateriale.
Dopo essere stato appannaggio di pochi appassionati e addetti ai lavori, il tema è diventato di interesse generale e si moltiplicano le occasioni di discussione sui “dati aperti”; fortunatamente, sono sempre più anche i progetti contreti in materia (oltre 5.000 i datasets liberati solo nell’ultima settimana), per iniziativa di alcune (ancora non tantissime) amministrazioni che hanno deciso di pubblicare on line i propri dati in formato aperto.
Almeno in questa fase, è possibile distinguere tra l’Open Data inteso come “diritto” e l’Open Data “ottriato”. La distinzione, mutuata dalla terminologia utilizzata per le costituzioni di metà ’800, serve ad evidenziare la precarietà delle iniziative di liberazione dei dati pubblici che siano la concessione che “amministrazioni illuminate” fanno ai propri cittadini. Infatti, senza una norma che sancisca l’obbligo delle amministrazioni di fare Open Data, l’Ente che inizialmente abbia deliberato di pubblicare i propri dati e, successivamente, decida di non rispettare tale promessa (o peggio ci ripensi) non dovrà risponderne, se non dal punto di vista strettamente politico.
Una legge di questo tipo, invece, oltre a dare un contenuto nuovo alla trasparenza cui tutti i cittadini hanno diritto, incentiva anche le imprese a sviluppare applicazioni che riutilizzano i dati pubblici: infatti, solo in presenza di certezza in ordine alla disponibilità (e quindi all’approvvigionamento) dei dati, le aziende potranno effettuare gli investimenti necessari.
Ebbene, mentre lo Stato non ha ancora deciso di raccogliere gli stimoli che vengono da più parti per imporre la liberazione delle PA centrali (Ministeri, Enti di previdenza, ecc.), le Regioni si stanno muovendo in tal senso, lavorando a leggi regionali che le vincolino a pubblicare i dati di cui sono titolari e a consentirne il riutilizzo.